Quando progettiamo un’interfaccia digitale dobbiamo considerare come nostro target ideale le persone neuro-divergenti: vi spiego perché…
Il bellissimo articolo di StartupItalia Non sei tu è il design andrebbe letto con attenzione da chiunque progetti interfacce digitali perché illustra in maniera articolata e precisa le esigenze delle milioni di persone presenti in Italia con bisogni specifici cognitivi. Il preparatissimo e analitico autore dell’articolo, Luca Annunziata, afferma che sono in troppi ad andare in “apnea cognitiva” a causa di interfacce digitali troppo complesse o mal costruite.
Il !flat design ha tolto ombre e bordi ai pulsanti rendendoli così irriconoscibili, animazioni di vario tipo e letture in movimento appaiono affascinanti ma distraggano molte persone in maniera inutile, il !glassmorfismo e il !neomorfismo applicano, rispettivamente, trasparenze e protuberanze che possono eccitare designer modaioli ma sono fini a sé stesse complicando la comprensione dell’interfaccia utente e quindi mortificando l’esperienza utente.
Viceversa un’interfaccia che chiama-invita all’azione l’utente finale deve:
- ospitare testo leggibile evitando muri di testo,
- spaziature e interlinee ampie e adeguate,
- font leggibili,
- colori ben contrastati ai quali comunque non delegare in maniera esclusiva alcun tipo di informazione
- architettura informativa semplice ben strutturata ed evidente nei suoi tratti più significativi (titoli e sottotitoli),
- poche azioni necessarie per raggiungere un obiettivo (al massimo tre)
- pulsanti chiari grandi ed evidenti.

Io però vorrei andare oltre ed affermare come, oggigiorno, quando progettiamo un’interfaccia digitale bisognerebbe prendere come target ideale una persona neuro-divergente non solo perché le persone dislessiche, disprassiche, discalcule, disgrafiche, chi soffre di Disturbi Specifici per l’Apprendimento o ha Bisogni Specifici per l’Apprendimento oppure ancora con disabilità cognitive, neuro-tipiche e neuro-divergenti (autistiche, con demenza senile, sofferenti di Alzheimer, eccetera) sono veramente tante e sempre di più ma soprattutto perché l’esperienza utente (UX) di chiunque di noi – dato l’alto grado di compulsività di comportamento che abbiamo quando siamo di fronte ad un interfaccia digitale (UI) – è riconducibile a quella di una persona neuro-divergente!
Per queste ragioni una risorsa come neurodiversity.design diventa una linea guida preziosissima per il progettista di interfacce digitali nella gestione di numeri, componenti tipografiche, colori, interazioni, architetture informative, opportunità comunicative e animazioni (a dire il vero tutto ciò vale benissimo anche per un prodotto a stampa o un’interfaccia materica…).
Suggerimenti utili per tutte/i noi cittadine/i dell’infosfera digitale che, di fronte alle interfacce digitali, siamo mediamente molto distratte/i, andiamo di fretta, e soprattutto il carico cognitivo che siamo disposte/i a investire nell’esperienza utente digitale è assolutamente ridotto.
